Lo scorso 03 marzo 2018 siamo stati alla data conclusiva del fortunato tour di Dutch Nazari e Sick Et Simpliciter.
Sul palco sono stati preceduti ed accompagnati da Alessandro Burbank , poeta e performer, Era Serenase (duo genovese davvero molto interessante) e piccoli cameo di Albe Ok, Eugenio in Via di Gioia e Willie Peyote.
Ad inizio serata abbiamo avuto l’occasione di scambiare due parole con Dutch a proposito di musica, arte, poesia, Sanremo, indie e tanto altro ancora.
Buona lettura!
A un anno di distanza dall’uscita di “Amore Povero” è ora di tirare le somme. Com’è andato il disco? E per quanto riguarda i live?
Nessuno si aspettava assolutamente niente quando siamo usciti con questo disco, quindi il responso è stato davvero oltre le nostre previsioni, a partire dal primo singolo.
Il progetto “nelle stazioni” è stato un po’ il momento in cui tutto è scattato. Avevamo stabilito alcune città dove credevamo di avere un po’ di seguito, ed il fatto che ad ogni data ci fossero 100, 200, 300 persone forse ha fatto rendere conto anche ad altri che ci fosse una buona base d’ascolto.
Da lì è partito un tour infinito, in un anno non ci siamo praticamente mai fermati, arrivando sulla sessantina di date.
Ti racconto questo aneddoto: quando abbiamo fatto la prima data, mi sembra fosse il 1° aprile al Covo a Bologna, uno degli organizzatori mi ha chiesto: Ma com’è il tuo pubblico? Più rap? Più indie?
Gli ho risposto: Fino ad ieri non ce l’avevo un pubblico, quindi adesso usciamo sul palco e lo scopriamo.
E quella sera lì abbiamo fatto sold-out.
Proprio riguardo al pubblico, mi sembra di vedere che il tuo pubblico è abbastanza eterogeneo, da ragazze e ragazzi liceali fino a persone adulte. Una peculiarità che condividi con i tuoi colleghi Willie Peyote e Dargen, ad esempio.
Noi ci interfacciamo col pubblico che viene ai live, ovviamente non è la totalità delle persone che ascolta le canzoni.
Il fatto è che se tu hai una fetta di pubblico sbilanciata soprattutto sui 14-15 anni, e suoni in un locale in periferia a mezzanotte, è difficile che vengano a vederti.
Quindi, quelli che vediamo noi sono tutti, solitamente, sopra i 19-20 anni, ragazzi che vanno all’università o che l’hanno da poco finita. Questa credo sia la fetta principale del nostro pubblico d’ascolto. Poi sicuramente ci sono artisti che fanno numeri più grandi sullo streaming o sui social perché hanno un pubblico che fruisce maggiormente di queste cose, ma che appunto magari non riesce ad andare a certi tipi di live.
Legato a questo, qualche giorno fa leggevo un articolo dove si parlava della nuova ondata indie che sta smuovendo l’Italia. Si faceva notare coma alcuni artisti, magari non in ambienti prettamente mainstream come tv e radio, riescano comunque a fare valanghe di sold out.
L’articolo in questione dava come esempi da una parte artisti come Calcutta, Pop X, Gazzelle, dall’altra artisti molto più sotto la luce dei riflettori, come ad esempio Francesca Michielin o altri cantanti spinti da un talent.
Secondo me, Francesca Michielin in particolare, è proprio l’esempio di un pop precedente all’ondata indie che ha saputo guardare in quella direzione lì, e che è riuscita non solo ad adattarsi ma anche a fare una cosa super “al passo”.
Non mi è mai capitato di ascoltarla per bene, è così brava?
Ho sentito alcune canzoni del disco, credo che molti testi siano stati scritti da Calcutta, a volte ti viene da domandarti “Cosa ci fa Calcutta con la voce della Michielin?”, però sia gli arrangiamenti, sia come sono stesi gli argomenti è, come dicevo, super “al passo”.
Per concludere, direi che la nuova ondata che oggi viene definita “indie” è riuscita per la prima volta, da quando io ascolto musica, a dare dignità al pop italiano.
Infatti alcuni stanno cercando di emanciparsi da questa etichetta ed introdurre il termine “ITPOP”, che strizza un po’ l’occhio al “britpop”, che è sempre stato un po’ l’unico pop dignitoso, vedi Oasis e Paolo Nutini ad esempio.
E il vostro genere, di tanto in tanto, si affaccia un po’ su questo mondo, no?
In parte sì, ovviamente a seconda di quanto “apri tutto” e ci butti l’amore, la musicabilità e l’orecchiabilità, da lì si apre un pubblico più o meno ampio.
Ovviamente non è tutto così, in Italia ci sono artisti che fanno numeri molto grossi con una proposta musicale assolutamente non facile.
Ad esempio, io ho sempre guardato come modello Caparezza, che fa una proposta complessa, con un sacco di parole, con un sacco di riferimenti, ed ogni volta che esce un pezzo ti rimanda a scuola. Lui riesce a mescolare tutto questo con una formula musicale molto orecchiabile.
Un altro esempio è Salmo. Il suo ultimo disco in particolare è “pesissimo”, molto cupo, un sacco di parole, e riesce comunque a fare sempre il pienone. A lui piace fare quella cosa e ci riesce alla grande.
Sono dell’idea che il vero criterio per capire se quello che stai facendo è giusto, è fare quello che piace a te. Se ti piace fare un certo tipo di musica, e risulta anche più facile all’ascoltatore, sbaglieresti a non farlo.
“Amore Povero” viene percepito come una raccolta di fatti di vita quotidiana: gli amori, le sigarette, gli incontri fuori Italia… Questo potrebbe fare “a pugni” con un altro tipo di rap molto in voga ultimamente, quello che racconta la bella vita, le macchine etc.
Come si fa ad affascinare con la normalità, senza risultare banali?
A mio avviso non è quello di cui parli che ti fa risultare banale, ma il modo in cui lo racconti.
Io risulterei goffo a parlare di valori o ambizioni che non ho, se qualcuno invece le ha fa tanto bene a parlarne.
Se parliamo di “voler fare i soldi con la musica”, questa è una pretesa che è legittima nella misura in cui tu fai la tua arte e questo ti porta, indipendentemente da ciò, a fare i soldi.
Se tu invece stai cercando di costruire un prodotto che è teso a “fare i soldi”, scegliendo quella nota, quella parola, quella maglietta, allora quella lì per me non è arte.
Per quello che riguarda i cosiddetti “argomenti”, credo che qualsiasi cosa possa essere resa interessante o meno.
L’amore, che è l’argomento più utilizzato, è una bella sfida, ad esempio. E fortunatamente molti artisti ultimamente stanno riuscendo a dargli dignità, andandolo a trattare in una maniera inattesa e interessante.
Ho notato una similitudine con Dargen: spesso quando trattate un argomento non vi posizionate in maniera diretta, ma guardate la cosa sotto tutti i punti di vista.
Molte volte ti percepisco perfettamente in equilibrio, perché magari critichi fortemente una cosa, e subito dopo critichi altrettanto la fazione opposta.
Mi viene in mente parte di un tuo testo (“E, sì, che se volevo essere valutato / Per quanto sono bravo a vendere / Lavoravo a un concessionario d’auto / Cosa sono io, una cifra? un nome su una fattura? / Cos’è Musica? cos’è Arte? cos’è Cultura? / Voler vivere di sole parole come i ciarlatani / Braccia rubate all’agopuntura e china sulle mani”)
Tutte le tematiche possono essere affrontate da più punti di vista, cedere alla tentazione di semplificarle per avere una narrazione di facile comprensione, spesso non rispecchia la realtà delle cose.
Quando ho chiuso la quartina in questione ho avuto l’impressione che fossero entrambe vere, pensavo davvero entrambe le cose.
Essere preso in giro da entrambe le parti.
Esatto, mischiare un po’ le carte in tavola a volte mi sembra una rappresentazione molto più realistica.
È assodato che hai uno stile di scrittura molto particolare, un giorno ti piacerebbe scrivere per altri artisti, sia rapper che non?
Molto. Ad esempio, con Serena (la cantante degli Era Serenase ndr) un paio di mesi fa abbiamo lavorato ad una canzone che non è ancora uscita, il cui testo è stato scritto da me interfacciandomi con lei, capendo cosa volesse esprimere.
Quindi ho sostanzialmente messo in versi alcuni pensieri che, di fatto, erano già suoi, accompagnati da intuizioni melodiche che lei proponeva.
E per quanto riguarda ambienti più famosi, un’esperienza come Sanremo, ad esempio, potrebbe interessarti?
Difficile a dirsi, non so se mi comporterei bene a Sanremo (ride).
Ad esempio Jacopo (Dargen), se andasse a Sanremo, secondo me farebbe un figurone, perché riuscirebbe a mantenere un atteggiamento sbarazzino anche in quel contesto.
Comunque, in astratto, io ci andrei volentieri.
Quest’anno ho visto le performance de Lo Stato Sociale, e mi viene da dire “bravi!”, perché se riesci ad andare in quel contesto portando te stesso, una vecchia che balla, gli operai di Pomigliano che protestano, allora hai vinto.
Mi viene in mente l’anno in cui andò Andrea Nardinocchi, anche lui a suo modo portò una performance nuova, che forse non fu abbastanza valorizzata ai tempi.
Proprio lui, poche settimane fa, ha fatto uscire un pezzo che si chiama “Sanremo Amore Scusa”, dove parla di quanto è stata traumatica quell’esperienza per lui, per diversi motivi.
Per te cos’è l’arte? E secondo te, esistono delle regole nell’arte?
Mi piace fare citazioni, e mi viene in mente un verso di Dargen “A tredici anni facevo rap senza schemi / A vent’anni facevo rap con gli schemi / Oggi faccio entrambi secondo il tasto che premi”; oppure Willie “Chi insegna storia dell’arte non è un artista”.
Parto anch’io con una citazione di Frank Zappa molto cara al mio socio Sick Et Simpliciter: “Parlare di musica è come ballare di architettura”.
Quindi facciamola, ascoltiamola, ma non parliamone troppo, perché è facile cadere nel banale.
Io, in particolare, sono per un’accezione di arte la più ampia possibile. Con una premessa: esiste anche l’arte brutta. Così come esiste l’arte banale, gli artisti scarsi e così via. E meno male! Sicuramente un mondo con più artisti e meno, che ne so, speculatori in borsa, sarebbe sicuramente un mondo migliore.
Dai tuoi testi si capisce che hai una buona conoscenza di quello che è stata l’arte negli anni passati. Ne è prova, ad esempio, “Genio Dentro”. Dovessi indicare un artista (pittore, scultore, poeta, … ) che ti ha dato qualcosa di rilevante, chi diresti?
Premetto che il contenuto di “Genio Dentro”, che io ho lasciato volutamente interpretabile, è spesso travisato. Parecchie volte vedo interpretato quel pezzo come “Tutti noi abbiamo un genio dentro che a volte emerge e a volte no”; idea assolutamente legittima, ma non è quello che volevo esprimere.
“Genio Dentro” è una canzone che io ho dedicato ad Alessandro Burbank, mio amico, che a mio avviso è il miglior poeta italiano vivente, che ha un genio dentro. Lui. Non io, non te, non gli altri, solo lui.
Quel bridge finale della mia strofa è teso a paragonare il suo estro artistico con i migliori artisti della nostra cultura letteraria, da Shakespeare in poi.
Quindi dovessi indicarti un artista tra tutti, direi lui.
Poi chiaramente ci sono delle fasi nella vita di ognuno, io ultimamente mi sono affezionato molto a Beppe Fenoglio, scrittore di queste zone (Langhe, Alba, etc. ndr) che ha una penna straordinaria, che davvero riesce a commuovermi per come sa scrivere.
Per finire, ti sei trasferito da poco a Torino, e sappiamo che sei molto affiatato con Willie Peyote, c’è la possibilità di qualche progetto insieme?
Non confermo né smentisco. (ride ndr)
Intervista a cura di Simone Giorgis