“- Uè, pronto?
– Guè!
– Com’è?
– Tutto storto!”
Sono passati parecchi anni, e le cose sembrano aver preso un piega decisamente positiva.
Diciamolo forte e chiaro: Marracash e Guè Pequeno sono sicuramente due dei rapper più influenti mai apparsi sul suolo italiano.
Per riuscire a non essere d’accordo con questa affermazione le questioni, sostanzialmente, sono due: o si è intellettualmente (e musicalmente) poco onesti, oppure avete passato gli ultimi 15 anni sulla luna.
I due top-player milanesi hanno cacciato fuori un progetto musicalmente e liricamente al passo con i tempi, un disco che sicuramente è fin da subito un cosiddetto “instant classic”.
Un progetto di così grossa portata e così musicalmente interessante nell’hip hop italiano non c’era mai stato.
Qualcuno potrebbe accostarci il disco in combo di Fibra e Clementino, ma sono progetti oggettivamente diversi e con pretese completamente diverse: “Rapstar” nasceva innanzitutto come un mixtape tra il maggiore esponente rap di quel momento e un Clementino che aveva bisogno di un’ulteriore conferma per affacciarsi al mondo mainstream in maniera definita.
Qua parliamo di due rapper che solamente un anno fa hanno conquistato le classifiche con due dischi solisti di tutto rispetto raggiungendo, inoltre, entrambi il Disco d’Oro e decine di date con pienoni (benché Michele Monina li timbri come progetti “non andati esattamente come si pensava” e descrivendo Santeria come “un ultimo treno”).
Ora hanno voluto scrivere un nuovo capitolo, ribadendo il concetto che da sempre si portano dietro: “Ho corso come uno schiavo per marciare come un re.”
Questo “Watch The Throne” made in Italy è un disco che convince sotto tutti gli aspetti: i due si scambiano il microfono senza nessuna sbavatura, zero featuring, solo tante rime, stile e una professionale esperienza.
Non da meno la parte musicale, tra produttori più o meno famosi ognuno ha apportato il proprio stile contribuendo con ottimi risultati.
Da sottolineare come circa della metà delle produzioni siano state affidate a giovanissimi beatmaker che non hanno avuto paura di essere accostati a nomi di spicco come Don Joe, Deleterio o Shablo.
Forse è una banalità dirlo (forse no), ma i due artisti in questione fanno ormai parte di quella manciata di nomi che hanno radicalmente cambiato la scena nostrana, fine della discussione.
Hanno preso un genere, l’hanno snocciolato fino al midollo, modellato e stravolto a loro piacere, creandosi un vero e proprio stile personale, cosa non scontata in una scena che da anni e per anni ha fatto dischi tutti uguali.
Partendo dalla Dogo Gang fino ai featuring oltreoceano, dai live nei centri sociali ai grandi palchi, da “alzarsi presto e spostare i bancali a spostare su conti bancari”, questo disco è solo l’ennesima conferma di una traguardo raggiunto con sudore e passione.
Edit:
“L’ultimo treno” ha raggiunto, in un mese, il Disco D’oro.
8.5/10
Simone Giorgis
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